Christo e Jeanne-Claude: due persone ma un unico artista

Si conoscono a Parigi nel 1958, quando Jeanne-Claude commissiona a Christo un ritratto della madre: inizia così una relazione sentimentale e una collaborazione artistica che durerà per tutta la loro vita.

 

Christo e Jeanne-Claude, The London Mastaba (Serpentine Lake, Hyde Park), 2016–18
Courtesy Estate of Christo V. Javacheff

 

Fin dal 1961, anno del loro primo intervento con un’opera ambientale, Stacked Oil Barrels and Dockside Packages, presso il porto di Colonia (dove iniziano a utilizzare teli per coprire degli oggetti, e fanno uso di quei barili che poi torneranno anche in The London Mastaba, 2016-2018), hanno sempre lavorato insieme sebbene per molto tempo le loro opere sono state “firmate” unicamente dal nome di Christo – per la difficoltà di affermazione della reputazione di un artista, tanto più se donna.
Solo nel 1994 decidono di cambiare ufficialmente il loro nome in “Christo e Jeanne-Claude”, dando la precedenza al nome di lui solo perchè era già un artista nel momento in cui si erano conosciuti.
Anche dopo la scomparsa di Jeanne-Claude nel 2009, Christo continuò con la realizzazione dei loro progetti, mantenendo il nome di entrambi.

 

Christo, Wrapped Reichstag (Berlin), 1971–95
Courtesy Estate of Christo V. Javacheff

 

Si è sempre cercato di categorizzarli scegliendo un’etichetta che li rappresentasse: ma è erroneo considerarli puramente land artist perchè i loro interventi si realizzano in ambienti già segnati dall’intervento dell’uomo, urbani, piuttosto che in spazi incontaminati.
Limitante sarebbe anche definirli con il neologismo wrapping artists, perchè se è vero che sono particolarmente noti questi interventi (in particolare su edifici pubblici: Wrapped Reichstag, 1971-1995; Wrapped Kunsthalle, 1967-1968), ma non sono distintivi della loro produzione: volendo trovare un comune denominatore questo potrebbe invece essere l’utilizzo di tessuti e stoffe, materiali fragili che sintetizzano il carattere temporaneo delle loro opere (come testimoniano Running Fence, 1972-1976 o The Floating Piers, 2014-2016).

Infatti i loro lavori non durano nel tempo, scaturendo un’urgenza di vederli: questo aspetto si lega alla loro volontà di intervenire temporaneamente nei contesti che ospitano le loro opere, senza danneggiarli o modificarli. Infatti loro stessi fanno tornare questi luoghi al loro stato iniziale, rimuovendo e poi riciclando i materiali utilizzati. 

Nonostante la dimensione spesso monumentale, la scala di realizzazione è comunque scelta per creare qualcosa che le persone possano godere, vivere camminandoci vicino o attraversandoli: non è una visione dall’alto o da lontano che porta al godimento della bellezza per cui vengono realizzati.

 

Christo, Running Fence
(Sonoma and Marin Counties, California), 1972–76
Courtesy Estate of Christo V. Javacheff

 

I due hanno sempre agito secondo una logica lontana dai meccanismi che animano il mercato dell’arte classicamente inteso: sono sempre stati i propri mercanti, senza l’intervento di gallerie o altri interlocutori, e ciò che commerciavano erano i disegni preparatori realizzati su carta da Christo, materializzando le idee pensate da e con Jeanne-Claude. Non è una vendita votata al guadagno, ma piuttosto al sostenimento delle spese necessarie per le realizzazioni, per i materiali, per le rimozioni. Questo dimostra un’attitudine a lavorare in completa autonomia e libertà, che li ha sempre portati a rifiutare anche qualsiasi sponsorship.