Come il protagonista di un insolito sogno. La fotografia di Teun Hocks è un sorriso ironico all’assurdità della vita

Si può rubare la luna, catturare note musicali con un retino o misurare il cielo con un metro da sarti?

Decisamente sì, se il proprio nome è Teun Hocks.

 

Teun Hocks, Untitled, digital work – Courtesy of Teun Hocks

 

Dagli anni settanta del Novecento questo celebre artista olandese (Leida, 1947) lavora sulle ambientazioni delle proprie fotografie costruendo vere e proprie mises en scène che hanno la suggestione del cinema muto e la forza espressiva della performance art.

Per Hocks la rappresentazione artistica è frutto di una profonda sinergia tra disegno, scenografia, performance, fotografia e pittura. Esattamente in quest’ordine.

 

Teun Hocks, Untitled, digital work – Courtesy of Teun Hocks

 

Per prima cosa l’artista inizia con l’abbozzare, ad acquarello o a matita, un’idea di scena. Segue la creazione puntuale del set che viene concepito in ogni minimo dettaglio. A questo punto è giunto il momento, per l’artista, di prendere posto nella scenografia e di posare a seconda della trama prescelta. Hocks procede poi a fare una serie di autoscatti in bianco e nero con la sua Polaroid, dei quali ne verrà selezionato solo uno. Lo scatto definitivo viene stampato in grande formato, incollato su un supporto di alluminio e dipinto con colori a olio che ricordano, sia per tonalità ovattate che per pennellate, i maestri della scuola fiamminga.

Nelle diverse scene Hocks è sempre il protagonista assoluto. La sua presenza semiseria, surreale, a volte incantata costruisce “storie istantanee” che si rivolgono allo spettatore con una leggerezza e un’ironia di altri tempi. Generalmente prive di titolo, le opere di Hocks dipingono le contraddizioni dell’essere umano, la sua impossibilità di far fronte ai piccoli drammi quotidiani, la casualità del fallimento.

 

Teun Hocks, Untitled, analogue work – Courtesy of Teun Hocks

 

Non esiste giudizio né soluzione, semplicemente una marcata compassione verso la fragilità umana che acquisisce una dimensione poetica nella malinconia di fondo.

Una condizione nella quale l’artista ci è profondamente vicino e sembra sorriderne assieme a noi.