“Guarda il cielo. Non troverai mai arcobaleni se guardi in basso”
#MercoledìFilosofico #19

Nel passato ci sono stati periodi storici particolarmente “illuminati” nei quali arte e scienza hanno trovato convergenze così felici da spingere gli studiosi a parlare di “arte della meraviglia”.

 

Francesco Borromini, “Prospettiva” or “Galleria Spada”, Palazzo Barberini Rome – Courtesy of Galleria Spada

 

E’ il caso del Seicento Barocco che, influenzato dalle scoperte scientifiche e dall’abbandono della prospettiva antropocentrica, fu caratterizzato da un profondo cambiamento nella concezione dello spazio scenico e della rappresentazione figurativa.

Una scia di ricerca che viene colta a partire dal 1980 dai Minimalisti americani che, ispirati da questo approccio scientifico e dalla tendenza tipica della Land Art a interagire con lo spazio, fanno sì che l’arcobaleno sia uno dei motivi prescelti per creare il senso di stupore, della meraviglia.

 

Charles Ross, “Dwan Light Sanctuary”, 1996 – Courtesy Charles Ross Artists Rights Society (ARS), New York

 

I lavori di Charles Ross (Philadelphia, 1937), che ha un background tra matematica e arte, si fondano sulla relazione tra fenomeni naturali e paesaggio e producono precisi effetti prospettici.

Nel 1996 realizza l’incredibile opera “Dwan Light Sanctuary” dove 24 prismi di vetro vengono allineati con il sole, la luna e le stelle. Il risultato è che all’interno dell’architettura vengono proiettati arcobaleni, la cui tempistica e luogo di apparizione dipendono strettamente da eventi stagionali come i solstizi, gli equinozi e la posizione della terra rispetto al sole e alla luna.

 

Ólafur Elíasson, “Colour space embracer”, Hara Museum of Contemporary Art, Tokyo, 2005 – Credits Jens Ziehe – Courtesy of Olafur Eliasson

 

E’ l’artista danese Ólafur Elíasson (Copenaghen, 1967) a raccogliere questa eredità plasmando opere dove viene messa alla prova la nostra percezione e il nostro ruolo nello spazio della rappresentazione.

Nell’opera “Colour space embracer” del 2005 tre anelli concentrici colorati ruotano mentre vengono illuminati da una lampada provocando la proiezione di uno spettro di luce colorata, ovvero di un arcobaleno, che circonda e scansiona la sala. L’opera d’arte diventa dunque strumento per creare una deformazione illusoria dello spazio e ampliare senza limiti l’idea del percepito.

Come se stravolgere la realtà la facesse apparisse “più reale”, o meglio iper-reale, ai nostri occhi.