Lo scandalo della Knoedler Gallery diventa un documentario su Netflix

“L’ arte non è ciò che si vede, ma ciò che viene mostrato agli altri”

E. Degas

Correva l’anno 2011 quando una delle gallerie d’arte storiche di New York in pieno centro a Manhattan, la Knoedler Gallery, chiudeva i battenti.

Quelli che erano, ufficialmente, motivi di business coprivano in realtà uno degli scandali sui falsi più famosi nel mondo dell’arte per cui, di lì a poco, la Knoedler sarebbe balzata agli onori della cronaca.

 

Entrata della Galleria Knoedler a New York, Manhattan – Courtesy of Atribune

 

Risultava infatti che la galleria, in quel periodo gestita da Anne Freedman, tra il 1994 e il 2011 avesse venduto a noti collezionisti e per cifre stratosferiche una serie di opere attribuite ai più grandi artisti del ventesimo secolo – Pollock, Rothko, Motherwell, de Kooning – che si sono poi rivelate tutte false.

I presunti capolavori erano stati portati alla Knoedler da tale Glafira Rosales, all’epoca presunta art dealer, che insieme al fidanzato, Carlos Bergantinõs Diaz, spacciava abilmente i quadri come provenienti da collezioni private svizzere e spagnole (anche queste inesistenti, è scontato dirlo). La leggenda narra addirittura che la donna abbia trasportato le opere fino alla galleria di Manhattan nel bagagliaio della sua macchina.

 

Anne Freedman, Courtesy del New York Times

 

La truffa messa in piedi dalla Rosales, prima di essere smascherata grazie ai collezionisti raggirati – su tutti i coniugi De Sole – e a un’indagine dell’FBI, ha generato un giro d’affari di 80 milioni, dei quali 33 incassati direttamente da lei.

Nel 2020 Barry Avrich, regista canadese, ha trasformato questa vicenda in un documentario dal titolo Made you look: a true story about fake art (Made you look: una storia vera su capolavori falsi), finalmente disponibile su Netflix dopo vari ritardi causa Covid.

Ad Avrich va riconosciuto il grande merito di essere riuscito a convincere i principali protagonisti dello scandalo ad apparire nel documentario. Dopo le resistenze iniziali, del tutto comprensibili, si sono resi conto di come potesse essere l’occasione per spiegare la loro versione dei fatti e recuperare un minimo di quella reputazione che, in ogni caso, era andata definitivamente persa. Nel documentario è spiegato come i falsi, esposti anche nei più grandi musei del mondo, erano stati realizzati da un signore cinese – anch’egli artista – di nome Pei – Shen Qian le cui doti di falsario, visti i risultati, sono strabilianti.

 

Pei-Shen Qian – Courtesy di Art History News

 

All’epoca dello scandalo Qian, continuando a dichiararsi innocente e non al corrente dei fatti, pur di evadere dalla condanna è tornato in Cina, dove tuttora risiede – fuori Shanghai – e dove continua a dipingere ma senza vendere le sue opere. Al contrario, gli inquirenti erano più che certi del suo coinvolgimento consapevole nella truffa. Il meccanismo era semplice, Qian realizzava i falsi e poi era compito di Bergantinõs Diaz “invecchiare” le tele con dei metodi a dir poco originali: utilizzava, infatti, bustine del te, il contenuto dell’aspirapolvere o l’aria calda di un’asciuga capelli per simulare il decadimento naturale o la sporcizia dovuta al tempo. E se non è cinema questo.

Anne Freedman da parte sua si è sempre difesa affermando di essere stata la prima vittima della Rosales e, dopo ben dieci cause legali – di cui nove risolte tramite patteggiamento e solo una portata in tribunale – ha addirittura aperto una sua galleria a New York, la Freedman Art, dove continua a vendere arte ai pochi che si fidano ancora di lei. Nel frattempo, Carlos Bergantinõs Diaz è tornato in Spagna per evitare la condanna e Glafira Rosales, dopo aver scontato una pena relativamente breve grazie ai suoi avvocati, ha trovato lavoro come cameriera in un diner.

 

Glafira Rosales con i suoi avvocati – Courtesy di Artnet News

 

Una storia surreale che, secondo noi, trova degna conclusione in una citazione tanto sconcertante quanto – a questo punto –  vera di Thomas Hoving, direttore del Metropolitan Museum of Art che, nel 1977, affermò:

“Nei miei quindici anni al Metropolitan Museum of Art, avrò esaminato cinquantamila opere d’arte di tutti i generi: un buon 40% erano o falsi o così malamente restaurati o mal attribuiti da dover essere considerati alla stregua di falsi” .