Intervista all’artista Joachim Silué

Una piacevole chiacchierata, realizzata in collaborazione con la Sulger-Buel Gallery di Londra, con Joachim Silué, artista ivoriano che da anni risiede in Italia dove si dedica alla sua produzione artistica. 

SpeakART: Caro Joachim, è un piacere averti con noi. Sappiamo che sei nato ad Abidjan in Costa d’Avorio ma poi ti sei spostato in Italia per frequentare l’Accademia di Belle Arti di Bologna, oggi vivi e lavori a Modena. Cosa ti ha spinto a questa decisione di venire e rimanere in Italia?
Joachim Silué: Già a 13 anni avevo capito che il mio paese non mi avrebbe dato le opportunità che cercavo. Quindi la decisione di lasciarlo è stata una scelta obbligata per avere una chance per realizzare me stesso.

SpeakART: Qual è il rapporto con la tua terra natale?
Joachim Silué: all’inizio ero molto arrabbiato con il mio paese. Poi in un secondo tempo mi sono riconciliato e ho capito meglio le varie sfaccettature dietro la rabbia che avevo provato. Ho approfondito e ho cercato di concretizzare i miei pensieri trasformandoli nella mia arte in modo che potessero essere elementi culturali sociali tangibili da presentare al pubblico nazionale e internazionale per una presa di coscienza di tutte le popolazioni colonizzate dai paesi occidentali.

 

Joachim Silué

SpeakART: Le tue opere rappresentano l’incontro tra pittura e scultura: come sei arrivato a questo esito?
Joachim Silué: è una scoperta che avviene nella mia personale ricerca artistica tra la combinazione dei oggetti che realizzavo quando ero bambino e il disegno che adoravo fare nonostante il divieto assoluto di mio padre. Lui non voleva che provassi l’attrazione che invece sentivo per l’Arte. Ho iniziato a sperimentare seguendo il mio istinto quasi da autodidatta raggiungendo una sintesi tra il mio conscio e inconscio.

SpeakART: Cosa rappresentano per te i materiali che scegli per realizzarle (ad esempio terra, filo metallico, legno)?
Joachim Silué: i materiali di scarto utilizzati nelle mie opere, rappresentano le persone delle nostre città per le quali non abbiamo nessuna considerazione. Quindi, scarti della società. Ricchi o poveri dopo la morte saremo tutti polvere, ecco una delle ragioni per la quale impiego la terra. Il filo di ferro è tipo un filo spinato, una catena, un oggetto che priva della vita e della libertà. Tuttavia l’uso che faccio dei materiali non deve essere letto in una chiave simbolica. La mia pratica artistica e’ caratterizzata dalla creazione di universi aperti, in cui i materiali sono connessi tra loro, ma in modo tale da invertire l’insieme dei loro tradizionali rapporti. Questi mondi nuovi ed ambiziosi, che contemporaneamente riproducono il disfacimento della morte e l’esuberanza della vita, si nutrono di varietà, perché il diverso è una grande opportunità e non un male.

K3, composizione su mdf (terra, pigmento nero, punti, filo, legno, chiodi, cahouchouc e disegno), 2018
Courtesy: Joachim Silué

SpeakART: Nella tua produzione ritornano sempre colori come bianco e nero: questa scelta ha un significato?
Joachim Silué: sì sì, certo che ha un significato. Oggi la situazione tra Nord e Sud, Est e Ovest è o bianco o nero. O con o contro. l’Europa non accetta di essere un predatore seriale dei Paesi africani con la piacevole complicità di alcuni cittadini africani. I colori bianco o nero indicano la necessita di voler cercare le sfumature.

SpeakART: Cosa vuoi trasmettere a chi ha la possibilità di osservare le tue opere?
Joachim Silué: non si dovrebbe scartare nulla dalla nostra vita perché tutto può reintegrarsi nella nostra società creando nuove opportunità di progresso culturale, sociale, politico ed economico.

SpeakART: Ha una fonte di ispirazione precisa per la tua arte?
Joachim: l’essenza della mia Arte è parlare di problemi spinosi. Magari non sono i temi più popolari della quotidianità, perché spesso rifletto sulla condizione di gente povera e a volte senza fissa dimora. Spesso questa condizione spinge alcuni di loro ad abbracciare l’idea di lasciare il loro paese per uno futuro ignoto ma a volte l’ignoto è l’unica speranza.

The Cross, Soil, Black pigment, wooden planks, iron, nails, drawing on mdf, 2019
Courtesy: Joachim Siluè

SpeakART: Si è appena conclusa la tua mostra “Metamorphosis” alla Sulger-Buel Gallery di Londra: ci vuoi raccontare qualcosa a riguardo?
Joachim Silué: in realtà la mostra è stata prorogata ancora fino alla prossima settimana, poi assieme al direttore della galleria Mr Christian Buel vedremo di fare il punto della situazione. Dai feedback di Giovanni, la mostra sta andando bene e sta suscitando un sacco di interesse. So che il pubblico non è ancora abituato a questo nuovo modo di dipingere realizzando opere che fondono pittura e scultura.

SpeakART: Sei uno degli artisti rappresentati dalla galleria: com’è nata la vostra collaborazione?
Joachim Silué: vede, la nostra collaborazione, è nata per caso nel 2019 quando ero nel mese di ottobre a Bruxelles per una residenza di artista alle Halls de Schaerbeek del Comune di Bruxelles. Li ho realizzato delle nuove opere monumentali per l’inaugurazione della mostra che hanno suscitato molte interesse. In quella occasione ho incontrato Mr Christian. E da quel incontro si sono fondate le basi per la nostra successiva collaborazione.

1-54 Fondation Montresso, Marrrakech, 2019
Courtesy: Joachim Silué

SpeakART: Durante la Biennale Venezia del 2017, sei stato uno dei cinque artisti scelti per rappresentare la Costa d’Avorio: com’è stata questa esperienza per te? Cosa hai voluto comunicare in quel contesto?
Joachim Silué: È stato molto bello e faticoso come tutte le cose di grandissimo livello. Ero molto lusingato e ho sentito una forte responsabilità essendo un ex immigrato che ha dovuto fare qualsiasi tipo di lavoro in Italia ma che ha mantenuto viva la determinazione di realizzare un mio sogno. Come artista trovarmi proprio alla Biennale di Venezia come protagonista è stata un emozionante grande. Mi ha fatto sentire insieme il peso e la leggerezza del mio percorso.
La mia produzione artistica per la Biennale ha esplorato la contraddizione che sento nel mondo con tutta la sua precarietà e con tutta l’urgenza di trovare voce nel silenzio soffocante.